Presentazione di Roberto Borghi
Condivido con Alessandra la passione per i versi di T. S. Eliot: in particolare per quelli raccolti nella Terra desolata. Di quello smilzo e densissimo testo, che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della poesia del Novecento, mi affascina soprattutto la capacità di incuneare il passato nel presente e viceversa, il virtuosismo nel comporre frammenti d’attualità e richiami a leggende ancestrali, il talento nel sottrarre citazioni da altri testi e nell’incorporarli mimeticamente nel proprio. Si tratta di un procedimento che lo stesso poeta, vestendo l’abito del critico e recensendo l’Ulisse di Joyce, ha definito metodo mitico.
“Nell’usare il mito, nel manipolare un continuo parallelismo tra il mondo contemporaneo e il mondo antico – scrive Eliot nel 1923 – Joyce sta seguendo un metodo che altri devono seguire dopo di lui […]. E’ semplicemente un modo di ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. […] E’, lo credo seriamente, un passo verso la possibile resa del mondo moderno in termini artistici. Invece del metodo narrativo, noi possiamo ora usare il metodo mitico.”
Mi sembra che queste righe abbiano molto a che fare con le opere più recenti di Alessandra. I suoi ultimi quadri non nascono forse da una “manipolazione” – nel senso letterale, direi quasi artigianale, di “porre mano” – del “parallelismo tra il mondo contemporaneo e il mondo antico”, nel tentativo di “dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea”?
Credo inoltre che in questi dipinti si assista a un scarto significativo, a un passaggio rilevante nel suo itinerario artistico, che trova una definizione compiuta nelle parole di Eliot. Mentre nei quadri realizzati in precedenza il mito era soprattutto un soggetto – vale a dire un repertorio iconografico, una fonte di atmosfere letterarie e di riferimenti filosofici, un clima ... – nei recenti cicli di lavori è diventato progressivamente anche un metodo, una modalità d’azione creativa.
Si potrebbe essere tentati di considerare queste opere dei collage, se non fosse per la loro capacità di mimetizzazione. Qui infatti ci troviamo di fronte a una pittura che incorpora il frammento, che assorbe la materia nella pellicola pittorica, invece che giustapporla al segno e farla spiccare. Inteso come metodo, il mito crea una letterale con-fusione, una mescolanza disorientante che ha il compito di ri-orientare l’attenzione, di indurla a focalizzare meglio, in modo più preciso, più acuto, la realtà.
Se si leggono i titoli dei cicli di lavori realizzati negli ultimi anni da Alessandra, si ha la netta sensazione del progredire, dell’acuirsi e precisarsi di uno stato d’animo. Da Inquietudini (2008-09) a Macerie (2009-10), da La decadenza (2010) a Il diluvio (2011), sembra in atto un climax ascendente – una figura retorica cara a Eliot, peraltro – verso il peggio. Alessandra legge nel degrado dell’ambiente il riflesso di un’incuria più profonda, di un degrado che ha radici nell’interiorità delle persone: la terra insomma è desolata a causa dell’alienazione di chi la abita. E’ all’incirca la tesi espressa da Eliot, con un’ulteriore e significativa coincidenza: anche nel poema, come nei dipinti pubblicati in questo catalogo, l’acqua – o, forse meglio, la dimensione liquida – è indice di disastro, di profanazione. Mentre però l’autore della Terra desolata cerca la salvezza nell’arsura del deserto, Alessandra, attraverso i suoi dipinti insieme raffinati e concitati, sembra instillarci il dubbio che esista la possibilità di un lavacro mitico e purificatorio, di una catarsi se non altro artistica. L’importante è focalizzare la catastrofe, non chiudere gli occhi di fronte alla realtà, non pensare di cavarsela con il mero lamento: perché, come recitano dei versi giovanili di Eliot, il mondo “non finisce con uno schianto, ma con un piagnisteo”.
Roberto Borghi